L’approvazione sociale: quando diventa una gabbia

Parlando di approvazione sociale è impossibile ad oggi non pensare ai social network, innanzitutto. Una bacheca di un comune profilo Facebook è costellata di foto: foto di persone che immortalano momenti di una vacanza o foto dei cibi che mangiano, selfie di visi truccati, illuminati, che posano dall'angolazione "giusta". Lungi da me fare il bue che dice cornuto all'asino, perché tutti siamo immersi nella rete dell'approvazione sociale: alzi la mano chi in qualche modo non ha mai ricercato un qualunque tipo di consenso sociale. I like, da qualche anno a questa parte, sono solo qualcosa che rende (ahimè?) apparentemente evidente un processo che è sempre esistito. 

Visto che ho appena sostenuto che i comportamenti volti a cercare il favore o addirittura il plauso sociale sono diffusi e assolutamente normali (per quanto non ami usare la parola "normale"), vale la pena chiedersi come facciamo a distinguere questa del tutto fisiologica ricerca di approvazione da uno schema comportamentale emotivo e cognitivo, disfunzionale. La convinzione disfunzionale che potrebbe stare alla base di questo schema è la seguente: "Se mi approvano/apprezzano/ammirano, vuol dire che valgo". Alla caccia di un like allora, per sentirmi di valore... E quando un like o qualsiasi altra forma di approvazione non arriva (e inevitabilmente succederà), il rischio è quello di sentirsi inadeguati, non abbastanza amabili, senza autostima. A quel punto si aprono due strade: posso intraprendere quella che mi porta ad alzare l'asticella, a fare di più, a mostrare di più e meglio sperando di ottenere la "droga" dell'approvazione sociale, oppure posso convincermi di essere il migliore criticando gli altri, aggredendoli, allontanandomi da tutti nella mia torre d'avorio.

Ma approfondiamo ancora la riflessione. Cosa succede a furia di mettere quel consenso al centro della mia attenzione? Quali diventeranno per me le priorità, le cose importanti? Probabilmente le stesse che, socialmente, vengono apprezzate. La bellezza, la ricchezza, l'ostentazione della cultura, dei successi. La terribile conseguenza è il perdersi: perdere se stessi, i propri desideri più spontanei, i propri bisogni più intimi, non fare attenzione ai momenti che li incarnano e, via via, scoprire che ce ne sono sempre meno, di quei momenti. Allora ci si accorge che le proprie azioni e le proprie scelte sono perlopiù in funzione di quello che la società si aspetta da noi, noi che dobbiamo essere ai loro occhi così belli-bravi-buoni altrimenti non ci sentiamo nessuno. Questa, secondo me, è la chiave per comprendere se la ricerca di approvazione è diventata un problema: quando non ho più il contatto coi miei desideri, quando la mia vita manca di spontaneità, quando cado nel baratro dopo aver ricevuto una disapprovazione.

A mio avviso a toccare magistralmente questo tema proprio dal punto di vista dei social, sono Joe Wright e Charlie Brooker, rispettivamente regista e sceneggiatore di "Nosedive", primo episodio della terza stagione di Black Mirror (serie stupenda!). Vediamo alcuni estratti di "Nosodive" alternati da brevi interviste:

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